martedì 12 giugno 2012

Meteore e metafore


KASTRAKI (METEORE) - Duplice è stata la motivazione che mi ha spinto ad attraversare in una sola tirata, nella giornata di domenica scorsa, da Nord a Sud tutti i Balcani (senza nemmeno una sosta nell’amata Serbia) per arrivare in Grecia: una cognitiva, per non essere mai stato, salvo Atene, nella parte continentale del Paese; l’altra politica, e proprio nella settimana delle decisive elezioni-bis, che si terranno domenica 17: mi è sembrato doveroso portare la mia fattiva  solidarietà al popolo ellenico, in forma di testimonianza ma anche concretamente, prendendo il posto, in termini di entrate per le disastrate casse del Paese, di almeno un turista tedesco che latiterà quest’estate. Diciamo due, considerando quanto quello “tipo” lesini abitualmente sul quattrino. Passato il confine con la Macedonia, attraversata l’omonima provincia greca verso Sud, tagliando fuori Salonicco e, più a Est, la Tracia, mi sono fiondato direttamente in Tessaglia, alle Meteore. Tra i pinnacoli che spuntano dalla pianura e i relativi scoscesi dirupi, si coglie e vive un’atmosfera surreale, e le scarpinate per salire ai monasteri che li costellano finiscono per rappresentare una sorta di esperienza mistica. Da quel che mi avevano raccontato amici che ci erano stati e quel che avevo letto in proposito, sapevo che mi sarei trovato davanti a qualcosa di straordinario. Ciononostante, sono rimasto attonito e incantato. Se c’è qualcosa che detesto sono le salite, e si sa che per raggiungere qualcosa che vale la pena bisogna faticare: un’esperienza che negli ultimi tempi mi è capitato di fare spesso, quella dell’ascensione, per esempio ai templi birmani (e oggi scalando il monastero della Santa Trinità mi è tornato alla mente quella del Monte Popa), ma che per visitare i monasteri aperti al pubblico delle Meteore ho ripetuto volentieri, anche sotto il sole cocente di questi giorni. Per verificare che, per quanto siano straordinari e mozzafiato visti dall’esterno (basta pensare a dove e cine siano stati costruiti), il loro autentico tesoro si cela all’interno, nei meravigliosi affreschi che adornano i “katholikón”, le chiese principali cuore dei monasteri ortodossi: un tripudio, ove sono illustrati episodi interi dei vangeli e della tradizione cristiana, vere e proprie biblioteche visive. Pochi turisti in giro (dei tedeschi che avevano disdettato in massa le prenotazioni si sapeva da qualche mese), e quei pochi sono nella stragrande maggioranza dei casi russi, che si muovono generalmente in comitiva. Era raccapricciante lo spettacolo offerto, in visita a questi monasteri per definizione eterei, dalle frotte di beghine russe che, sotto la guida di una sorta di predicatore laico invasato, infervorate, si producevano in baci lascivi e salivosi a ogni sorta di icona di un santo influente: roba da  far rimpiangere quelle polacche in visita a Roma nei primi anni del papato di Woityla. Quando non slinguazzano le immagini dei santi protettori, i russi si dilettano nella fotografia. A differenza degli altri orientali con gli occhi a mandorla, che immortalano ogni panorama od oggetto che a loro sembra inconsueto allo scopo, magari, di riprodurlo, i russi, e le russe in particolare, usano la macchina fotografica esclusivamente per ritrarre sé stessi, producendosi in pose pacchianamente esilaranti, e il luogo dove si trovano è preso in considerazione, se tutto va bene, esclusivamente come sfondo scenografico, che se fosse di cartapesta sarebbe uguale. Come se non bastassero quelli in torpedone, ci sono pure russi che si muovono con mezzi propri, generalmente SUV, con targa della repubblica putiniana; tra quelli che prendono auto a noleggio, finora ho visto più americani (nel senso di yankee) che europei, e più asiatici che tedeschi.

A un primo impatto la Grecia non sembra quel Paese in crisi di cui parlano i giornali nostrani: a Florina e Kastroria, centri medio-grandi della Macedonia greca, ho visto animazione, attività, gente sorridente e apparentemente spensierata. Una cosa che mi ha stupefatto sono i bancomat che dispensano fino a 1000 € in contante: impensabile nella Terra dei Cachi, dove si fa di tutto, con la avvilente collaborazione dei nesci pseudo progressisti e moralizzatori ottusi, per limitare l’uso che del denaro fa la gente comune e renderlo "tracciabile" (i “sopracciò” e gli ideatori società di scatole cinesi non hanno certo di questi problemi). Se però si guarda bene, si osserva che i nuovi, rutilanti locali per “gggiòvani” e turisti d’accatto, uguali dappertutto, sono vuoti: quando va bene qualche ragazzo sorseggia per ore degli improbabili beveroni a base di finto caffè e nient’altro; le popolari taverne sono semideserte, di turisti così come di indigeni, tradizionalmente  ben disposti a uscire per pranzo e cena. Resistono i “kafeníon”, ma occorre precisare che un caffè servito al tavolo qui costa 50 centesimi di euro, e un bicchiere di vino o di ouzo raramente superano l’euro. E l’arte sta nel farli durare per ore, anche se nessuno da queste parti si sognerebbe di farti sloggiare. Della campagna elettorale, almeno nei piccoli centri, si coglie poco: gli unici a essere presenti nelle strade, a parlare con la gente e a distribuire il proprio materiale, sono quelli di Syriza, la coalizione della sinistra radicale ed ecologista, i veri vincitori delle scorse elezioni e che potrebbero diventare il primo partito, incaricato quindi di formare il futuro governo, dopo quelle di domenica prossima. E non a caso Syriza è al centro di una campagna diffamatoria che ha consistenti appoggi 2500 chilometri a Nord. A Berlino e nelle sue succursali, per capirci. Ho visto finora tre sedi del Pasok, giocattolo nelle sciagurate mani della famiglia Papandreu, tutte invariabilmente chiuse, e nemmeno una di Nea Demokratia, il partito di destra creato dalla corrispettiva dinastia Karamanlis; dei neonazisti di Alba Dorata non ho avuto finora fortunatamente, percezione. Ma esiste. Per il resto i politici locali impazzano nei programmi televisivii: dei cui discorsi, opportunamente sottotitolati in greco, non si capisce un accidente. Per cui non rimane che affidarsi alla fisiognomica, e dalle facce che si vedono campeggiare sui teleschermi, l’unica intelligente, ironica, colta e, in una parola, presentabile, è quella di Alexis Tsypras, lleader di Syzira. Io tifo per lui. Mi auguro anche la maggioranza dei greci che andranno alle urne.

1 commento:

  1. Come essere nel "posto giusto, al momento giusto".
    Due cose trovo indicative e insieme inquietanti: le comitive di beghine russe che baciano le icone dei santi e gli yankee che noleggiano auto: che ci fanno lì?
    Restando sulle metafore, sembrano avamposti di una contesa occupazione prossima futura, fra Putin e Obama.
    Syriza, se vince, dovrà fare molta attenzione a chi si compra qualcosa in Grecia.
    Svalutata, potrebbe finire che le Meteore diventino il preossimo parco giochi disneyano della mafia russa o la piattaforma di lancio nucleare della potenza militare americana.
    Occhio!

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